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Il suo territorio fu abitato dal periodo preistorico, come testimoniano le numerose abitazioni neolitiche e trogloditiche rinvenute nella grandiosa e famosa vallata della "Cava d'Ispica" e la necropoli presso Punta Castellazzo con la "città di Apolline". 
 
Porta orientale d'ingresso della provincia di Ragusa, Ispica grazie alla suggestiva bellezza del suo territorio offre al visitatore momenti di grande emozione. Situata su una collina detta della "Calandra" di 170 m. sulle alture dei monti Iblei a 7 chilometri dalla costa, dista 36 Km. da Ragusa. 
 
Ispica è composta di due parti distinte: il quartiere settecentesco, che è la città attuale, ed il quartiere medievale, disrutto dal terremto del 1693 e oggi parco archeologico. Anticamente la località si chiamava Ispra, modificato in epoca romana in Ispicae Fundus. Nel medioevo assunse il nome di Spaccaforno fino al 1935, quando ritorno' alle origini con l'attuale nome di Ispica. Prima del terremoto l'abitato era all'interno della cava d'Ispica nella parte finale. Si sono succeduti i Siculi, i Greci, i Romani, i Bizantini, gli Arabi ed i Normanni. 
 
L'impianto della città, come già accennato, oggi è tipicamente settecentesco, con una struttura urbana a scacchiera e si notano splendidi edifici tardo barocco, neoclassici e liberty.
 
Approfondimento (by Saro Distefano): nel gennaio del 1453 la storia di quella che oggi chiamiamo Ispica, ma che allora era ancora Spaccaforno, cambia corso, traiettoria. Ispicae Fundus, appunto la Spaccafurnu degli iblei, si sgancia dalla grande Contea di Modica, il feudo dei catalani Cabrera, il celebre “regnum in regno”. 
 
Il 4 gennaio di cinquecentosessanta anni fa, a Napoli, il notaio De Aflicto registra infatti l’atto di vendita della “terram cum fortilizio Spaccaforni”: il Conte di Modica Giovanni Bernardo de Caprera, figlio del celebre Bernat, vende il feudo ispicese ad Antonio de Carusio, quello che poi diverrà il più diffuso cognome Caruso. Il de Carusio era un “maestro razionale”, ovvero un funzionario amministrativo, di quella nascente nobiltà di toga, proveniente dai ranghi della amministrazione comitale che sarebbe diventata l’ossatura portante della Contea poi Provincia. Ispica sarebbe ancora una volta passato di mano, dai Caruso agli Statella, marchesi che fecero di Spaccaforno il loro grande feudo e per molti secoli. 
 
Un feudo, l’Ispicae fundus che sarebbe sempre rimasto “satellite” della grande Contea modicana, ma di fatto indipendente, con grandi vantaggi sul piano mercantile, soprattutto per la presenza di molti commercianti ispicesi in continuo contatto col mercato della vicina Malta oltre che con altre sponde mediterranee, e il tutto avendo quale base marittima la piccola ma efficiente baia di Sampieri. 
 
Spaccaforno diventa Ispica 1935 (articolo di Francesco Fonte
 
“Per suo regolamento La prego di prendere nota che con R. D. 6 maggio 1935 XIII n. 935, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno del 21 corrente mese n. 144, questo Comune è stato autorizzato a cambiare la sua denominazione in ISPICA. Saluti fascisti. Il Podestà”. Con questa laconica comunicazione ai responsabili degli uffici comunali, il podestà Dionisio Moltisanti rendeva esecutivo il cambiamento del nome della città, denominata fino a quel momento (e da tempi antichissimi) SPACCAFORNO. Sul cambiamento del nome ci furono dispute, anche letterarie, che ebbero per protagonisti, sulla stampa del tempo, alcuni intellettuali come l’avv. Saverio Hernandez, l’ins. Giovanni Leontini, il notaio Antonino Moltisanti, il cav. Francesco Vaccaro Curto, il sacerdote Giuseppe Bonomo. Le polemiche si allargarono e coinvolsero tanti cittadini che, nei circoli e nei luoghi di ritrovo, diedero vita ad accesi dibattiti. Le origini del nome Spaccaforno erano molto antiche: nel 1832, il giurista Benedetto Spataro scriveva, nella sua storia dello Stato della Città di Spaccaforno, che “la più antica scritturale notizia” si ha in una Bolla di Papa Alessandro III del 4 maggio 1168, trascritta da Rocco Pirri nella sua Sicilia Sacra, con la quale il Sommo Pontefice assegnava alla sede episcopale di Siracusa “ecclesias quae sunt in tenimento Spaccafurni”. Ma pare che il nome fosse già comparso in un’altra bolla papale di Urbano II nel 1093. La Bolla di Alessandro III è citata pure nel Dizionario Topografico della Sicilia di Vito Amico, il quale annota: “Si appella Ispica in un’antica vita del B. Guglielmo, Ispicae fundus da Maurolico, Arezio, Baudrand, Pirri, e nelle scritture pubbliche, dove anche è detto Hispice fundum; Spaccafurnus in una bolla di Alessandro III, dal Gaetani e dal Maurolico, che crede sia corrotta la voce da Ispicae fundus; Spaccafurnum da Cluverio e da Arezio, e finalmente Spacafurnus dal Fazello”. Nell’opera di Francesco M. Emanuele e Gaetani, Della Sicilia Nobile, si legge che “il nome di Spaccaforno corrotto vedesi da Spaccafondo latino Ispicae Fundus, avvegnacché trovandosi essa Terra lontana sol che due miglia dall’antica Ispica, possiamo dir francamente non esser ella altro, che un fondo di quella estinta Città, o sia la parte più bassa della medesima”. Nel 1928 il podestà Franzo Bruno Valenti affidò l’incarico di scrivere una relazione ufficiale sulla proposta di cambiamento del nome della città al cav. Francesco Vaccaro Curto: la relazione, consegnata al comune nel novembre del 1929, fu pubblicata sulla rivista “La Siciliana” nel gennaio 1930. Egli sosteneva che il termine Spaccafurnus della Bolla papale del 1168 derivasse dalla denominazione latina Hyspicae fundus, spesso accompagnata negli atti notarili dall’appellativo “deliciosa civica”. Nel tempo, le metamorfosi fonetiche del linguaggio locale avevano corrotto il nome: “Da Hyspicae pronunziata Ispica per la eliminazione della “e” del dittongo finale, ne venne fuori, per metatesi, Ispaca; che Ispaca, per afèresi, divenne Spaca; che Spaca, per raddoppiamento della “c”, divenne Spacca; che fundus, per apòcope e metatesi, si mutò in funnu, che per semplice metatesi e per analogia di fonetica locale, si ridusse furnu, generando in tal modo Spaccafurnu italianizzato senz’altro in Spaccaforno”. Proseguendo nella relazione, il Vaccaro Curto, ricordava che “il Governo fascista, per ragioni di convenienza storico-politica non disgiunta da quella amministrativa, ha restituito i nomi primitivi di Enna a Castrogiovanni, di Gela a Terranova, di Agrigento a Girgenti, di Imperia a Porto Maurizio … perché non dovrebbe essere concesso a noi di togliere la bruttura del nome di Spaccaforno, per essere sostituito da altro nome più conveniente alla dignità fonetica con riferimento alla sua origine storica?”. La proposta di Francesco Vaccaro Curto era di denominare la città Ispicenia, da Ispica e da éneimi, sono, ho luogo, che significava sono allo sbocco della Cava Ispica: “Ispicenia, conclude Vaccaro Curto, in veste nuova, consona e dignitosa, raccoglie l’eredità del passato per farla rivivere e nobilitare”. La relazione di Francesco Vaccaro Curto ebbe il consenso del prof. Eugenio Falcone, Padre dei Minori Osservanti, che però propose al commissario prefettizio Giuseppe Vassallo il nome di Ispica (“nome gentile derivato dalla cava in fondo alla quale sorge”). Si registrarono altri interventi sull’argomento, tra cui quello fortemente contrario del notaio Antonino Moltisanti (“L’etimo di Spaccaforno non deve essere modificato”), il quale sosteneva, con passione e interpretazioni linguistiche diverse la sua tesi, concludendo che “l’etimo di Spaccaforno è il più prezioso monumento di cui andremo orgogliosi perché retaggio ambito degli avi nostri … che conserveremo e tramanderemo inalterato”. Anche chi condivideva la necessità di cambiare il nome, non era però d’accordo con Vaccaro Curto che l’aveva inventato di sana pianta: il sacerdote Giuseppe Bonomo, ad esempio, suggeriva di scegliere fra i nomi indicanti la varie dominazioni, un nome che “esprima l’unione indissolubile alla sorgente della nostra civiltà” e propose Hispica. Nel 1933, il podestà Salvatore Hernandez deliberò la “Modifica nella denominazione del comune di Spaccaforno” (delibera n. 116 del 18 marzo 1933), definendo il nome da cambiare (Spaccaforno) “una espressione di sciocca mania, più conveniente a singole insensate persone”, ma non aderì alla tesi di coloro (come Francesco Vaccaro Curto) che “con simpatico artefizio”volevano creare un nome nuovo e piuttosto scelse il nome di Hispica che propose al Governo. Il 17 maggio 1933, la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia espresse parere contrario al mutamento del nome in quello di Hispica o quello “deformatissimo” di Ispicenia. Anzi, la denominazione di Spaccaforno non sembrava affatto “sconveniente” al soprintendente che, restituendo gli atti, invitava a non insistere sulla proposta perché se attuata “formerebbe oggetto di critiche severe da parte di quanti amano gli studi e le tradizioni storiche del nostro Paese”. Al contrario, la Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, con parere reso il 12 ottobre 1933, dal su presidente, il prof. Gaetano Curcio (cittadino di Spaccaforno e Preside della Facoltà di Lettere di Catania) considerava “legittimo” il desiderio di cambiare il nome in quello antico e classico di ISPICA. La relazione del prof. Gaetano Curcio fu letta nell’assemblea degli iscritti del Partito Nazionale Fascista tenuta il 4 marzo 1934, convocata dal segretario Antonino Arancio, per fornire un parere al podestà Dionisio Moltisanti sul cambiamento del nome alla città. L’assemblea degli iscritti (“intervenuti in gran numero”) con “calorosi applausi” approva per acclamazione il cambiamento della denominazione di SPACCAFORNO in ISPICA “elevando vibranti alalà al Duce”. In assemblea è presente il “fascista notaro” Antonino Moltisanti, che dissente dal cambiamento, ma viene subissato dalle grida “Viva Ispica!”. Il podestà Dionisio Moltisanti, forte del parere positivo del prof. Curcio e del voto favorevole di tutte le organizzazione cittadine, con delibera n. 204 del 4 agosto 1934, propose al Governo di denominare la città “ISPICA” e appellare i cittadini “ISPICESI”. Tra le motivazioni dell’atto si legge che “sotto la nuova denominazione di Ispica il comune potrebbe sviluppare un intenso movimento turistico allo scopo di meglio far conoscere i monumenti antichi esistenti nella Cava omonima”. Dopo 80 anni dal cambiamento di denominazione, non si può dire che questo auspicio si sia pienamente realizzato. Questa è la storia, personalmente mi sarei trovato d’accordo col notaio Moltisanti, unico a difendere il vero, storico, antico e, secondo me, prestigioso, nome di SPACCAFORNO, già baronia e marchesato, capace, da sola, di essere baluardo della cristianità e del mondo occidentale, quando tra la fine del XVI sec. e l’inizio del XVII, Antonio Statella e i suoi armati respingono eroicamente l’assalto dei saraceni sulle nostre coste. Ma, purtroppo, indietro non si può tornare… 
 
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Sei bandiere blu alla Sicilia e tre sono in provincia di Ragusa. La new entry è la spiaggia di S. Maria del Focallo a Ispica che si aggiunge alle già consolidate Pozzallo e Marina di Ragusa.
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Donatella Bisutti
 
Una villa nobiliare dei primi dell'ottocento e dimora ideale per trascorre vacanze e visitare i capolavori d'arte barocca.
 
 
 
 
Non solo Montalbano. La Sicilia contadina degli anni cinquanta con le sue tradizioni, le sue passioni e le sue povertà. Pasquale Zenga
 
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